Alma Vivoda

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Alma Vivoda
SoprannomeMaria
NascitaChiampore, 23 gennaio 1911
MorteTrieste, 28 giugno 1943
Dati militari
Paese servitoItalia
CorpoCorpo volontari della libertà
UnitàGruppi di azione patriottica
GuerreResistenza italiana
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Amabile Vivoda, conosciuta come Alma Vivoda (Chiampore, 23 gennaio 1911Trieste, 28 giugno 1943) è stata una partigiana italiana, considerata la prima partigiana caduta nella guerra di Resistenza.[1]

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Giovinezza[modifica | modifica wikitesto]

Alma, all'anagrafe Amabile[2], nacque da Antonio Vivoda e Anna Crevatin[3]. Frequentò solo la scuola elementare, si rivelò presto dotata di intelligenza e forza d'animo. Venne educata dal padre agli ideali internazionalisti e iniziò ben presto l'attività antifascista, entrando a far parte del Partito Comunista e diventando una cellula attiva del "Soccorso Rosso"[3]. A Muggia gestiva col padre e con il marito la trattoria 'La Tappa'[4], luogo di incontri e riunioni clandestine durante il regime, punto di riferimento per i militanti muggesani e dell'area triestina e istriana, e di smistamento delle staffette.[5] Il locale venne chiuso dalla polizia nel marzo 1940 e Alma divenne ben presto oggetto di una caccia accanita da parte delle autorità. Nel 1931 aveva sposato il comunista Luciano Santalesa con il quale si dedicò completamente alla lotta armata per la libertà, tanto da affidare il figlio Sergio a un collegio di Udine, scegliendo la clandestinità[2].

Guerra partigiana[modifica | modifica wikitesto]

Diventata partigiana con il nome di "Maria", organizzò la lotta delle donne dell'Istria curando la diffusione del giornale clandestino, "La Nuova Donna". Divenne una delle dirigenti più attive dell'organizzazione "Donne Antifasciste", assicurando i collegamenti tra l'antifascismo triestino e le formazioni partigiane dell'Istria[2], fu in collegamento col dirigente comunista di Muggia, Giovanni Postogna, e con le prime formazioni partigiane slovene e croate in Istria. Per il suo forte attivismo fu braccata dalla polizia fascista, che pose sulla sua testa una taglia di 10.000 lire.[6]

Per le gravi condizioni di salute, Luciano fu ricoverato sotto sorveglianza in un sanatorio, ma Alma ne organizzò l'evasione. Era la primavera del 1943 e Santalesa, aiutato dalla moglie, riuscì a raggiungere i partigiani istriani; combattendo con loro sarebbe morto dopo qualche mese[2]. Dopo pochi giorni morì anche Alma, quando il 28 giugno 1943, durante una missione alla Rotonda del Boschetto (Trieste),[7] fu riconosciuta da un carabiniere fascista che aveva frequentato la sua trattoria, fingendosi suo amico. Venne gravemente ferita alla tempia e fu trasportata in ospedale, dove spirò.[8]

Dopoguerra[modifica | modifica wikitesto]

Con la morte di Alma Vivoda si spezzò la rete clandestina antifascista ordita con tanta dedizione dalle donne antifasciste[3]. Alma è stata considerata la prima partigiana italiana caduta nella Resistenza[1]. Il suo nome venne dato al battaglione partigiano creato dai comunisti di Muggia nel maggio del 1944: il "Battaglione Alma Vivoda", un reparto autonomo operante in Istria della Brigata Garibaldi Trieste, composto da partigiani italiani, sloveni, russi e da diverse compagne di lotta di "Maria".[9]

Onorificenze[modifica | modifica wikitesto]

Dopo la Liberazione, ad Alma Vivoda sono stati intitolati il Circolo di cultura popolare di Santa Barbara (Muggia), la sede del partito comunista[10] ed una strada di Chiampore.

Nel 1971, nel luogo in cui Alma fu colpita, è stato eretto un monumento a suo ricordo.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Enrico Vigna e Pietro Brignoli, Pagine di storia rimosse: la politica e i crimini di guerra dell'Italia fascista in Jugoslavia, Mario Chiarotto Editore, 2005, p. 71. URL consultato il 18 marzo 2020.
  2. ^ a b c d Donne e Uomini della Resistenza: Alma Vivoda, su ANPI. URL consultato il 16 marzo 2020.
  3. ^ a b c alma vivoda la donna pia coraggiosa di muggia, su yumpu.com.
  4. ^ Partigiane, tutte le donne della resistenza. Marina Addis Saba.
  5. ^ Enzo Collotti, Renato Sandri, Frediano Sessi, Dizionario della Resistenza, Torino, Einaudi, 2001.
  6. ^ Marina Rossi, Alma Vivoda, la donna più coraggiosa di Muggia (PDF), su anpi.it. URL consultato il 24 marzo 2020 (archiviato dall'url originale il 21 novembre 2021).
  7. ^ Mimmo Franzinelli e Marcello Flores, Storia della Resistenza, Editori Laterza, 21 novembre 2019, ISBN 978-88-581-4051-2. URL consultato il 18 marzo 2020.
  8. ^ Battista Adelchi, Io sono la guerra, Rizzoli, 14 marzo 2012, ISBN 978-88-586-2486-9. URL consultato il 18 marzo 2020.
  9. ^ Paolo Sema, Aldo Sola e Marietta Bibalo, Battaglione Alma Vivoda, La Pietra, 1975. URL consultato il 18 marzo 2020.
  10. ^ Arrigo Petacco, L'esodo, Edizioni Mondadori, 7 ottobre 2010, ISBN 978-88-520-1368-3. URL consultato il 18 marzo 2020.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Marina Addis Saba, Partigiane. Tutte le donne della Resistenza , Mursia, Varese, 1998;
  • Mirella Alloisio, Carla Capponi, Benedetta Galassi Beria, Milla Pastorino (a cura di), Mille volte no! Testimonianze di donne della Resistenza, Roma, Edizioni Unione Donne Italiane, 1965.
  • Enzo Collotti, Renato Sandri, Frediano Sessi, Dizionario della Resistenza, Torino, Einaudi, 2001.
  • Marina Rossi, Alma Vivoda, la donna più coraggiosa della Muggia (PDF), in Patria indipendente, Giugno 2013. URL consultato il 24 marzo 2020 (archiviato dall'url originale il 21 novembre 2021).

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